La sentenza del Tar Lazio, Sez.III- bis 17.09.2019, n. 11054, ha annullato la procedura di assegnazione di un punto ristoro in una scuola, perché nel bando era prevista l’offerta economicamente più vantaggiosa.

Dove sta l’errore in cui incorre il Tar? Proprio nella configurazione della fattispecie giuridica come concessione di servizi. Questo è un errore che deriva dalla confusione che vi si fa, tra concessione di servizi e concessioni di immobili patrimoniali ai fini commerciali.

Articolo 3, comma 1, lettera vv: La norma configura con estrema chiarezza la concessione come sistema alternativo a quello dell’appalto. E’ pur sempre l’esternalizzazione di una prestazione che dovrebbe essere resa dall’amministrazione, la quale sceglie di non realizzarla direttamente, bensì di affidarla ad un appaltatore, anzi, ad un concessionario. Scopriamo, dunque, che il codice dei contratti identifica il negozio giuridico come un contratto a prestazioni corrispettive, nel quale la Pubblica Amministrazione concedente assume il ruolo di parte obbligata al corrispettivo, che nella concessione si trasforma nel diritto a gestire ed ad introitare tariffe o proventi gestionali. La PA è parte “passiva” del rapporto ed è confermato da vari elementi, ossia dal diritto alla gestione che può essere accompagnato da un prezzo, e dall’assunzione del rischio operativo nella gestione del servizio. Precisiamo che il rischio operativo è connesso, a costi ed investimenti affrontati dal concessionario per rendere il servizio esternalizzato dalla PA. Ritornando al caso in oggetto, un punto di ristoro con le macchinette, ma anche un semplice bancone-bar, è una funzione alla quale deve adempiere una scuola o anche un ufficio pubblico? Ovviamente no. A meno che non si tratti di servizi di ristorazione. La PA non deve rendere la prestazione. Ed è per questa ragione che la PA pretende dal concessionario il versamento di un “canone concessorio”. La presenza di suddetto canone evidenzia che la PA non è parte passiva bensì attiva della concessione e conferma il carattere patrimoniale della stessa in quanto il canone è versato per l’occupazione di locali. In conclusione: Il Tar avrebbe dovuto verificare se nel vocabolario comune degli appalti un servizio simile ad un punto di ristoro fosse previsto e avrebbe dovuto respingere il ricorso, per assenza totale, comunque, della violazione di norme di legge.

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