Impugnazione atti di gara: entro quando si può contestare il bando?Le tempistiche in cui si possono effettuare i ricorsi per contestare un bando di gara analizzando la sentenza del Consiglio di Stato n.7669 del 3 dicembre 2020.

Il ricorso

Propone ricorso una società arrivata terza in graduatoria nel bando di gara pubblicato per realizzare alcuni importanti lavori stradali. La gara è stata impugnata dalla società, dopo che l’amministrazione ha escluso il primo classificato e affidato i lavori al gruppo di imprese arrivato secondo. Per la società che ha fatto ricorso, l’affidamento è illegittimo per la mancanza di alcuni specifici requisiti. Tra questi, l’attestazione di qualificazione SOA, la certificazione obbligatoria per gli appalti pubblici, in una specifica categoria. In primo e secondo grado, il ricorso è stato ritenuto inammissibile per decadenza dei termini.

Cosa dice la legge

Il consiglio di Stato ha analizzato la normativa vigente, in particolare la legge numero 55 del 2019. In particolare l’articolo 1, comma 23, che si riferisce “ai processi” iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione – e non agli “atti delle procedure di affidamento” – abrogando, l’entrata in vigore della nuova legge, “le procedure di gara già avviate ed ancora in corso”, escludendo che per queste ultime potessero produrre effetti sostanziali gli atti interni alla procedura di gara. Una precisazione necessaria, sottolinea il Consiglio di Stato che si era espresso altre volte su questa tematica, secondo cui “si dovrebbe allora ipotizzare una rimessione in termini rispetto a provvedimenti di ammissione alla gara già consolidatisi nel vigore del regime previgente (il decreto-legge numero 32 del 2019), mentre un simile effetto retroattivo non potrebbe estendersi a situazioni e rapporti giuridici ormai chiusi, come sono quelli relativi alla fase di ammissione per i quali il termine per impugnare è orami scaduto”.

Ricorsi a gara già consolidata

Ma va considerato anche il fatto, dicono i giudici, “che questi rilievi non considerano la portata dell’effetto abrogativo del rito sulle ammissioni”. Questo, infatti, “era correlato non all’atto dell’amministrazione impugnato, ma a quello dell’interessato di esercizio del diritto di azione in giudizio”, cui va riferito “il momento in cui vanno valutati i presupposti sostanziali di ammissibilità dell’impugnazione”. Ecco perché, si legge nella sentenza, “a tale momento non può essere addotta l’esistenza ostativa di situazioni e rapporti giuridici esauriti all’interno all’unitaria procedura di gara, nello specifico per effetto dell’adozione di provvedimenti di ammissione di altri concorrenti, quando per la legge esistente al momento in cui l’azione va proposta essi hanno cessato di costituire atti autonomamente lesivi”.

Impugnare l’esito conclusivo della gara

La questione, per i giudici, ruota attorno ad un errore commesso dalla società che è arrivata terza e che poi ha presentato ricorso. Ossia il fatto di non aver impugnato subito l’esito conclusivo della gara, “per lei immediatamente lesivo, a causa della sua collocazione al terzo posto della graduatoria finale”. E parlano gli atti con la richiesta di accesso agli atti, presentata dalla società che ha fatto ricorso quando la graduatoria di gara e la consequenziale aggiudicazione si erano consolidati, per effetto del decorso del termine di 30 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione. Tutto nel rispetto del codice dei contratti pubblici, che obbliga le stazioni appaltanti di comunicare il provvedimento conclusivo della gara non solo “al concorrente che segue nella graduatoria” ma anche “a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta ammessa in gara”. Ciò allo scopo di consentire anche a questi ultimi, anche attraverso lo strumento dell’accesso agli atti di gara, di proporre un ricorso efficace. Tra l’altro, secondo la giurisprudenza, sono ammissibili i ricorsi per l’impugnazione degli atti di gara proposti da concorrenti collocati in graduatoria in posizione successiva alla seconda.

Cosa dice l’adunanza plenaria

Questo principio è stato affermato e confermato dall’Adunanza plenaria, specificando che la “collocazione al terzo posto in graduatoria non comporta di per sé il difetto di legittimazione del concorrente terzo graduato ad introdurre contestazione sulle scelte operate dalla stazione appaltante in ordine all’opportunità di procedere o meno all’esame discrezionale di una supposta anomalia dell’offerta dei concorrenti collocati in posizione posteriore”.

E c’è di più: l’utilità perseguita dal ricorrente “deve porsi in rapporto di prossimità, regolarità ed immediatezza causale rispetto alla domanda di annullamento proposta e non restare subordinata da eventi, solo potenziali ed incerti, dal cui verificarsi potrebbe scaturire il vantaggio cui mira il contenzioso introdotto”. Questi principi valgono ad escludere che “quanto ottenibile immediatamente mediante tempestiva impugnazione nei confronti delle prime due classificate, possa essere chiesto dopo che la posizione di queste in graduatoria si sia consolidata, e nondimeno nei confronti di una di queste l’amministrazione abbia esercitato l’autotutela”.

L’esercizio dell’autotutela è volto infatti “alla cura del solo interesse dell’amministrazione: perciò non ne sono configurabili effetti di rimessione in termini a vantaggio di concorrenti collocati in graduatoria in posizioni successive, i quali sin dall’inizio avrebbero potuto contestare la partecipazione delle imprese meglio classificate, eventualmente per le stesse ragioni per cui nei confronti di alcune di queste la stazione appaltante ha agito in autotutela”.

La modifica della graduatoria di gara conseguente all’esercizio del potere di autotutela, consistito nell’esclusione di un concorrente, non determina infatti per gli altri un effetto lesivo, ma casomai produce per loro effetti favorevoli, legati allo scorrimento delle rispettive posizioni rispetto a quella iniziale: “dunque la circostanza che ad esso non segua l’aggiudicazione è conseguente all’originaria posizione in graduatoria, che andava pertanto contestata tempestivamente”. Visto quanto dice la normativa, si delinea chiaramente la situazione del caso analizzato. La società che ha fatto ricorso, lo ha fatto solo dopo l’esclusione della prima classificata e quindi con il consequenziale scorrimento della graduatoria. “I soli margini per un’impugnazione successiva dell’aggiudicazione consequenziale allo scorrimento in graduatoria a favore della seconda classificata – si legge nella sentenza – possono ipotizzarsi solo in caso di illegittimità emerse in occasione di tale scorrimento, come ad esempio nel caso di verifica dei requisiti di partecipazione dichiarati in gara dalla medesima concorrente”. Ma non è questo il caso.

Il ricorso di chi arriva terzo o più in basso…

La società che è arrivata terza, sostiene che al momento dell’approvazione della graduatoria e dell’aggiudicazione originaria non avrebbe avuto alcun interesse ad agire, per l’inutilità del vantaggio che così si sarebbe conseguito, consistente nel solo scavalcamento in graduatoria della seconda in classifica che tuttavia “non sarebbe comunque stata l’eventuale aggiudicataria della gara, essendo primo in classifica un soggetto terzo” (così si legge nella memoria conclusionale). “L’assunto trascura che in conformità a quanto finora rilevato – si legge nella sentenza – ai concorrenti classificati dalla terza posizione in giù della graduatoria è data facoltà di impugnare subito gli atti di gara, attraverso censure che investano la partecipazione di tutti i concorrenti meglio classificati o segmenti più o meno ampi della gara in sé”. Per contro, “dal medesimo assunto si ricaverebbe l’inaccettabile corollario che per i medesimi concorrenti diversi dal secondo classificato, l’unica chance di impugnazione sarebbe rimessa all’eventuale esercizio del potere di autotutela della stazione appaltante nei confronti dell’aggiudicatario. Se portata all’estreme conseguenze, la tesi comporta che tutti i concorrenti in graduatoria dovrebbero attendere di volta in volta lo scorrimento a favore del concorrente classificato in posizione immediatamente precedente”. Ma un sistema così ipotizzato di impugnazioni a catena degli atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici “rende evidente l’insostenibilità delle argomentazioni dell’odierna appellante e, per converso della fondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’appello”.

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