Giudizio di equivalenza tra CCNL: il TAR chiarisce i limiti per le stazioni appaltanti
Può un’impresa scegliere un contratto collettivo diverso da quello indicato nel bando di gara? E fino a che punto la stazione appaltante può accettare questa scelta senza compromettere la tutela dei lavoratori? Come funziona, in concreto, il principio di equivalenza previsto dall’art. 11, comma 4, del D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici)?
Giudizio di equivalenza tra CCNL: la sentenza del TAR Campania
Sono le domande al centro della sentenza n. 7073 del 30 ottobre 2025, con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania torna su un tema tanto delicato quanto attuale: l’applicazione del contratto collettivo negli appalti pubblici e il corretto utilizzo del giudizio di equivalenza. Una questione che, nonostante le modifiche introdotte dal correttivo (il D.Lgs. n. 209/2024) al Codice dei contratti, continuerà a porre non pochi problemi interpretativi e a richiedere l’intervento della giustizia amministrativa.
Nel caso di specie, tutto nasce da una gara per un servizio di manutenzione in cui una società, arrivata seconda in graduatoria, contesta l’aggiudicazione alla concorrente che aveva applicato un contratto collettivo diverso da quello indicato nella lex specialis.
In particolare, il bando richiedeva il CCNL Metalmeccanici Industria, ma l’impresa aggiudicataria aveva dichiarato di applicare il CCNL Pulizie Multiservizi, sostenendo che garantisse tutele equivalenti. La stazione appaltante – dopo aver richiesto chiarimenti e analizzato la documentazione – aveva ritenuto le due discipline sostanzialmente assimilabili, confermando l’aggiudicazione.
La società ricorrente, invece, riteneva che la scelta del diverso contratto avesse comportato un abbattimento del costo del lavoro di circa il 40%, violando così i principi di tutela economica e parità di trattamento previsti dal Codice dei contratti pubblici.
Per comprendere la decisione dei giudici di primo grado, come sempre, analizziamo la normativa di riferimento.
Quadro normativo di riferimento
L’art. 11 del D.Lgs. n. 36/2023 rappresenta uno dei punti di maggiore innovazione del nuovo Codice perché impone alle stazioni appaltanti di indicare il contratto collettivo di riferimento e consente agli operatori economici di proporne uno diverso solo se garantisce le stesse tutele economiche e normative.
La verifica di questa equivalenza – disciplinata anche dall’Allegato I.01 al Codice – diventa quindi un passaggio obbligato e delicato, che deve basarsi su due livelli di analisi:
- equivalenza economica, fondata sul valore complessivo della retribuzione globale annua (inclusi stipendi, indennità e mensilità aggiuntive);
- equivalenza normativa, valutata sulla base di parametri come ferie, malattie, lavoro straordinario, maternità, preavviso, previdenza e sanità integrativa.
La ratio è quella di tutelare i lavoratori ed evitare che il costo del lavoro diventi una leva di concorrenza sleale. Il legislatore, in sostanza, ha ristretto la libertà imprenditoriale rispetto al passato per rafforzare il principio di equità e impedire che le differenze contrattuali si traducano in un “dumping sociale” a scapito del personale impiegato negli appalti pubblici.
I principi espressi dal TAR Campania
Il Tribunale campano ha offerto una ricostruzione puntuale del giudizio di equivalenza, qualificandolo come un vero e proprio potere tecnico-discrezionale della stazione appaltante, paragonabile – per struttura e logica – alla verifica dell’anomalia dell’offerta di cui all’art. 110 del Codice.
Ciò significa che l’amministrazione deve valutare in modo globale e sintetico se il contratto proposto dall’operatore garantisca tutele sostanzialmente analoghe a quelle minime previste dal CCNL indicato nel bando, senza limitarsi a un mero confronto tabellare.
Il TAR ha ribadito che il giudice amministrativo può intervenire solo in caso di manifesta illogicità, travisamento o errore macroscopico, ma non può sostituirsi alla valutazione tecnica del RUP.
Nel caso concreto, i giudici hanno ritenuto corretto l’operato della stazione appaltante, che aveva svolto un’istruttoria completa e coerente, verificando che:
- le differenze tra i due contratti collettivi fossero fisiologiche e non tali da pregiudicare la posizione dei lavoratori;
- il costo medio della manodopera applicato dall’aggiudicataria risultasse in linea con i valori medi di mercato;
- le integrazioni retributive dichiarate (“superminimi”) costituissero un chiarimento, non un’integrazione postuma dell’offerta.
Il messaggio del TAR è chiaro: le imprese non possono utilizzare la flessibilità contrattuale come strumento per abbassare i costi del personale e acquisire vantaggi competitivi.
Analisi tecnica
La decisione del TAR Campania si inserisce in un quadro giurisprudenziale in rapida evoluzione e consolida un principio di equilibrio secondo il quale la libertà d’impresa non può tradursi in una compressione delle garanzie minime del lavoro.
Il giudizio di equivalenza, come sottolineato dal TAR, non mira a stabilire una perfetta identità tra contratti, ma a verificare che le differenze non si traducano in un peggioramento sostanziale delle condizioni dei lavoratori.
La valutazione deve quindi essere complessiva, ragionata e motivata, e non può ridursi a un automatismo.
La sentenza assume particolare rilievo anche per le stazioni appaltanti, che dovranno dotarsi di strumenti istruttori adeguati a motivare la propria decisione, magari con il supporto di consulenze tecniche o dei dati ministeriali sui costi medi del lavoro.
Il riferimento all’Allegato I.01 si conferma fondamentale: è qui che il legislatore ha tracciato la griglia di parametri che rende operativa, e verificabile, la nozione di equivalenza.
Conclusioni operative
Concludendo, il TAR Campania ha respinto il ricorso, confermando la legittimità dell’aggiudicazione e la correttezza della valutazione svolta dalla stazione appaltante.
In sintesi:
- Il giudizio di equivalenza tra CCNL è un potere tecnico-discrezionale della P.A., sindacabile solo in presenza di macroscopiche irregolarità.
- Le differenze tra contratti collettivi non implicano automaticamente una non equivalenza.
- Il CCNL indicato nella lex specialis rappresenta un limite inderogabile, non una semplice indicazione.
- Le imprese non possono usare il costo del lavoro come fattore competitivo.
- Le stazioni appaltanti devono motivare accuratamente le proprie valutazioni, documentando la verifica secondo i parametri dell’Allegato I.01.
La sentenza contribuisce a definire un equilibrio tra concorrenza, tutela del lavoro e responsabilità pubblica.
Un equilibrio che, nel nuovo Codice dei contratti, segna il confine tra libertà economica e rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori.