È legittimo che il codice appalti limiti a due soli modelli organizzativi le centrali di committenza escludendo che di esse possano fare parte soggetti privati; sono comprensibili le scelte di prevenzione delle infiltrazioni mafiose e di controllo dei costi. E’ quanto ha stabilito la Corte di giustizia europea con la sentenza del 4 giugno 202.

La sentenza legittima la scelta dell’ Anac e quella del legislatore italiano di porre dei limiti all’ operatività delle centrali di committenza. Diciamo che nulla nella direttiva 2004/18 né nei principi ad essa sottesi, vieta che gli Stati membri possano usare i modelli di organizzazione delle centrali di committenza esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di persone o di imprese private.

Si legge «il legislatore italiano, anzitutto incoraggiando il ricorso degli enti locali a centrali di committenza, create secondo modelli organizzativi definiti, ha cercato non solo di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose, ma anche di prevedere uno strumento di controllo delle spese». In ogni caso, si legge ancora nella sentenza, tenuto conto dello stretto legame esistente tra la nozione di «amministrazione aggiudicatrice» e quella di «centrale di acquisto», non si può pensare che le centrali di committenza offrano servizi su un mercato aperto alla concorrenza delle imprese private.

Di.Sa precisa che una centrale di committenza opera in qualità di amministrazione aggiudicatrice, con lo scopo di provvedere ai bisogni di quest’ ultima, e non in quanto operatore economico, nel proprio interesse commerciale. Pertanto, una normativa nazionale che pone dei limiti alla libertà di scelta dei piccoli enti locali di ricorrere a una centrale di committenza, senza la partecipazione di persone o di imprese private, non oltraggia l’ obiettivo di libera prestazione dei servizi e di apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri.

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