Cause da esclusione, mezzi di prova e dies a quo: nuove indicazioni dal Consiglio di Stato.

Quali sono i mezzi adeguati affinché una stazione appaltante può legittimamente escludere un operatore per violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro? e quali sono i termini per l’impugnazione dell’aggiudicazione?Ha risposto a queste domande il Consiglio di Stato con la sentenza n.7387 del 28 ottobre 2019 con la quale ha affrontato il ricorso presentato in primo grado dal ricorrente ma che i giudici del TAR non avevano trattato per erronea irricevibilità del ricorso. In particolare, la sentenza affronta due interessanti argomenti:

  • la decorrenza dei termini per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione;
  • i mezzi di prova necessari per l’esclusione dalla gara per violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

In riferimento al dies a quo, la giurisprudenza amministrativa ha già affrontato l’argomento che con la nuova sentenza del Consiglio di Stato si arricchisce di nuovi particolari. È pacifico, infatti, che i termini per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorrono soltanto a seguito della comunicazione prevista dall’art. 76, comma 5 del D.lgs. n. 50/2016 (c.d. Codice dei contratti), avente ad oggetto la comunicazione dell’aggiudicazione definitiva a tutti gli interessati. Nel caso di specie, però, la stazione appaltante aveva comunicato l’aggiudicazione della gara senza specificare le ragioni di preferenza dell’offerta dell’aggiudicataria (e senza accompagnare la comunicazione con l’allegazione dei verbali di gara), senza, quindi, rendere esplicite le motivazioni in ordine alle ragioni di preferenza dell’offerta vincitrice.

Alla comunicazione aveva prontamente risposto la seconda classificata con una richiesta di accesso agli atti, a cui la stazione appaltante aveva risposto solo a distanza di tempo. In particolare, a fronte dell’istanza presentata l’11 aprile 2018, la stazione appaltante aveva indicato quale data per l’accesso il 7 maggio 2018, ossia una data distante ventisei giorni, a soli quattro giorni per la scadenza del termine per la proposizione del ricorso, e, successivamente, dinanzi all’impedimento manifestato dall’attuale ricorrente, aveva posticipato l’accesso di altri otto/nove giorni fino a giungere al 16 maggio 2018.

Considerata la tempestiva istanza di accesso del ricorrente – presupposto imprescindibile per procedere ad ogni successiva verifica – i giudici di Palazzo Spada hanno accertato quali ragioni abbiano impedito l’accesso ai documenti di gara in tempo utile alla proposizione del ricorso. È necessario, cioè, accertare se sia imputabile alla stazione appaltante il rifiuto illegittimo all’accesso, o, comunque, l’adozione di un comportamento ingiustificatamente dilatorio che non abbia consentito l’immediata conoscenza degli atti di gara.Nel caso di specie, secondo il Consiglio di Stato, è imputabile alla stazione appaltante una condotta dilatoria che non ha consentito la tempestiva conoscenza degli atti di gara o, comunque, la conoscenza in tempo utile per la presentazione del ricorso nel termine di quarantacinque giorni dalla comunicazione del provvedimento di aggiudicazione. Decisiva, in tal senso, è la circostanza che la stazione appaltante abbia individuato la data per l’accesso di ventisei giorni successiva al giorno di presentazione dell’istanza di accesso.

A nulla vale la giustificazione della stazione appaltante in riferimento al fatto di aver indicato la data per l’accesso nel rispetto del termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza di accesso come previsto dall’art. 25, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241. I giudici del Consiglio di Stato avrebbero potuto consentire l’accesso “semplificato” di cui all’art. 76, comma 2 del Codice dei contratti conformemente al principio di lealtà e buona fede che deve presiedere alle relazioni tra amministrazione e privato, consentire l’accesso nel termine di 10 giorni, senza formalità, e, dunque senza interpellare le imprese controinteressate.

Cause da esclusione e mezzi di prova

In riferimento alla violazione dell’art. 80, comma 5, lett. a), lett. f-bis) e lett. c) del Codice e, quindi, all’esclusione della vincitrice, la ricorrente ha evidenziato che un dipendente della vincitrice, durante l’attività lavorativa, aveva perso la vita. Pertanto, avrebbe dovuto integrarsi la causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. a) del Codice in presenza di “gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro” e ciò in quanto, da un lato, l’omicidio colposo era certamente una “grave infrazione” e, dall’altro, la responsabilità della società poteva ritenersi “debitamente accertata” in base agli atti provenienti dalle autorità amministrative interessate dalla vicenda e, segnatamente, il rapporto dell’Unità operativa prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro del Distretto socio sanitario, oltre che alla relazione di consulenza medico legale.Il Consiglio di Stato ha chiarito che la morte di un dipendente durante lo svolgimento dell’attività lavorativa costituisce, senza meno, una “grave infrazione” alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro se addebitabile alla responsabilità del datore di lavoro. E’ consentita l’esclusione dell’operatore dalla procedura di gara qualora la presenza di una grave infrazione sia stata “debitamente accertata”; per espressa previsione normativa, l’accertamento può avvenire “con qualunque mezzo adeguato”. Per disporre l’esclusione dell’operatore economico dalla procedura di gara la stazione appaltante è onerata, dunque, di accertare, con ogni mezzo di prova a sua disposizione, non solo che la violazione sia accaduta, ma, specialmente, che di essa ne abbia responsabilità il concorrente.

La giurisprudenza amministrativa ha in più occasioni affrontato la questione dei mezzi di prova dai quali la stazione appaltante può trarre convincimento nel senso della responsabilità dell’operatore economico della grave infrazione verificatasi ritenendo valido mezzo di prova una sentenza penale non ancora passata in giudicato, come pure il “verbale ispettivo dell’Ispettorato del lavoro”.In definitiva, vale il principio per cui può essere considerato “mezzo adeguato” all’accertamento della “grave infrazione” delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. a) del codice dei contratti pubblici, ogni documento, anche se proveniente dall’autorità amministrativa (e non solo dall’autorità giudiziaria), che consenta un giudizio sulla responsabilità dell’impresa nella causazione dell’evento alla luce della qualificata ricostruzione dei fatti ivi contenuta.Nel caso di specie, la stazione appaltante ha sostenuto non essere presente, negli atti redatti delle autorità pubbliche interessate dalla vicenda in esame, alcun accertamento della responsabilità della vincitrice per l’episodio mortale verificatosi nel suo cantiere, tanto più che, alla data di ammissione degli operatori economici alla gara, il procedimento penale era ancora in corso di svolgimento in attesa di celebrazione dell’udienza preliminare. Per questo, continua la stazione appaltante, in sede di verifica dei requisiti di partecipazione degli operatori, si era ritenuto, sia pure senza darne esplicitamente atto nei verbali di gara, che la vicenda penale non potesse integrare la causa di esclusione prevista dall’art. 80, comma 5, lett. a) del Codice.

Nel caso di specie non è posta tanto la questione dell’idoneità dei documenti ad essere considerati “adeguati mezzi di prova”, quanto quella della possibilità, alla luce del loro contenuto, di esprimere un giudizio di responsabilità dell’operatore economico per la “grave infrazione” contestata.I documenti citati dalla ricorrente come mezzi di prova dell’accertamento della grave infrazione fornivano una ricostruzione incerta e dubbia dei fatti accaduti nel cantiere e della dinamica dell’incidente mortale, come tali ma non erano idonei ad elaborare un attendibile giudizio sulla responsabilità della società.Anche nel rapporto dell’A.S.L.– a quanto è dato apprendere dalla sintesi che ne fa il giudice penale, non essendo lo stesso presente agli atti del giudizio – si ipotizzava solamente quale potesse essere stata la dinamica dell’incidente (“il lavoratore era probabilmente caduto dalla zona laterale sinistra del mezzo, probabilmente passando con il corpo nell’incavo tra i due montanti” con la conclusione che “gli scriventi non sono in grado di stabilire con certezza se la caduta sia stata causata dallo scavalcamento della vaschetta metallica che contiene il gancio sollevatore per raggiungere il lato motore della macchina (operazione questa che viene effettuata abitualmente dagli operatori macchine”).

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