L’inserimento di criteri premiali volti a valorizzare le imprese in possesso della certificazione di parità di genere è solo una facoltà discrezionale delle stazioni appaltanti? Oppure si tratta di un obbligo inderogabile la cui mancanza può determinare l’invalidità dell’intera procedura?

L’ANAC con la delibera 9 aprile 2025, n. 145, richiama con forza l’obbligo per le stazioni appaltanti di rispettare quanto stabilito dall’art. 108, comma 7, del d.lgs. n. 36/2023, pena l’illegittimità della lex specialis e l’annullamento della gara.

Il Codice dei Contratti Pubblici, di cui al d.lgs. n. 36/2023, distingue tra:

  • art. 102, che impone obblighi in materia di clausole sociali (occupazione giovanile, femminile e inclusiva);
  • art. 108, comma 7, che introduce un criterio premiale per le imprese che abbiano adottato politiche di parità di genere, dimostrabili mediante certificazione.

Secondo ANAC, l’inserimento di impegni in materia occupazionale (es. assunzioni riservate) non equivale all’introduzione del criterio premiale richiesto dall’art. 108. I due strumenti operano su piani distinti:

  • l’art. 102 stabilisce oneri contrattuali per l’aggiudicatario;
  • l’art. 108 definisce un criterio di valutazione dell’offerta, valido per tutti i concorrenti.

L’ANAC quindi spiega che, la clausola premiale per la parità di genere è obbligatoria, e deve essere inserita espressamente nella documentazione di gara, insieme alle modalità di verifica del possesso della certificazione di parità di genere, rilasciata ai sensi dell’art. 46-bis del d.lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna).

Di.sa. ribadisce che il mancato inserimento di questa clausola rappresenta un vizio della lex specialis e comporta l’annullamento della procedura.

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