Negli appalti pubblici, la clausola di revisione prezzi può essere applicata nei contratti a esecuzione periodica o continua solo se c’è una proroga e non in caso di rinnovo del rapporto tra le parti negoziali susseguito all’originario affidamento. Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8219/2019, ha confermato l’orientamento giurisprudenziale consolidato della inapplicabilità del meccanismo della revisione prezzi, in presenza di attività qualificata come nuova negoziazione.

Obiettivo dell‘istituto della revisione è di salvaguardare l’esigenza di tutela e di conservazione dell’originario equilibrio sinallagmatico del contratto, che potrebbe risultare alterato per la sopravvenienza di fattori imprevisti e imprevedibili, impedendo che le prestazioni di beni e servizi alla pubblica amministrazione siano esposte al rischio di una diminuzione qualitativa, per l’eccessiva onerosità sopravvenuta delle stesse e la conseguente incapacità del fornitore di farvi fronte.

Il collegio ha ribadito che, in ipotesi di rinegoziazione con lo stesso soggetto, il diritto alla revisione non può configurarsi, in quanto la volontà di procedere al rinnovo del contratto, anche se agli stessi patti e condizioni del precedente, genera nuovi e autonomi rapporti giuridici in discontinuità con l’originario, per cui l’impresa, che ha beneficiato di una disposizione speciale, non può poi anche invocare il diritto alla revisione del compenso già concordato.

Di.Sa precisa che diversa è la proroga, prevista ab origine negli atti di gara e oggetto di consenso «a monte», che si configura esclusivamente come differimento del termine di scadenza finale del rapporto, regolato, per tutto il resto dall’atto originario. In questo caso, la clausola di revisione periodica del prezzo comporta il diritto alla rinegoziazione del compenso originariamente pattuito, previa dimostrazione della sopravvenienza di fattori imprevedibili e determinanti uno squilibrio delle reciproche posizioni economiche.

Share This