Superbonus e sequestro preventivo: cosa accade ai crediti già compensati?

La buona fede del cessionario, dimostrata mediante la produzione della documentazione di cui all’art. 121, comma 6-bis, del D.L. n. 34/2020 (Decreto Rilancio), evita il concorso nella violazione in caso di frodi nella cessione del superbonus ma non mette al riparo dal sequestro preventivo del credito.

È ormai un dato di fatto che è stato nuovamente ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 7 marzo 2024, n. 9833 che, però, aggiunge un ulteriore e importante elemento da considerare e che può essere riassunto in una domanda: cosa accade se prima del decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P., i crediti sono già stati interamente compensati?

Sequestro preventivo superbonus: il nuovo caso

Il nuovo caso oggetto dell’intervento degli ermellini può essere così riassunto:

  • i lavori riguardano un intervento di superbonus a seguito del quale il credito veniva ceduto a terzi;
  • il ricorrente, acquirente di parte del credito, lo utilizzava in compensazione il 17 luglio 2023;
  • in data 21 luglio 2023 viene emesso dal Giudice delle Indagini Preliminari (G.I.P.) un decreto di sequestro preventivo dei crediti di imposta ancora nelle disponibilità del committente, della ditta che aveva ricevuto l’appalto per l’esecuzione dei lavori edilizi e dei crediti di imposta ceduti a terzi purché “esistenti e circolanti”;
  • a seguito di questo decreto di sequestro preventivo, il Pubblico Ministero (P.M.) dispone l’annullamento delle operazioni di compensazione dei crediti fiscali.

Il ricorso viene presentato in Cassazione per l’annullamento del provvedimento impugnato e del sotteso decreto di sequestro preventivo e degli atti conseguenti, sulla base di cinque distinti motivi:

  1. il decreto del G.I.P. avrebbe disposto unicamente il sequestro diretto dei crediti di imposta ancora nelle disponibilità e dei crediti di imposta ceduti a terzi purché esistenti e circolanti, requisiti non rinvenibili con riguardo ai crediti di imposta acquistati dal ricorrente, già interamente compensati prima del decreto del G.I.P. stesso;
  2. l’ordinanza impugnata non avrebbe argomentato, malgrado l’eccezione proposta con il riesame, sulla possibilità di sequestrare (ai sensi dell’art. 321, comma 1, c.p.p.) crediti di imposta inesistenti perché già utilizzati ai fini della compensazione con l’Agenzia delle Entrate;
  3. il provvedimento cautelare ha come presupposto la necessità che la circolazione di cose pertinenti al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze dell’illecito penale, ovvero agevolare la commissione di ulteriori reati; presupposto non rinvenibile nel caso in cui i crediti fiscali si sono estinti a seguito della compensazione, già prima del provvedimento cautelare. Né sarebbe possibile ricostruire con efficacia retroattiva i detti crediti di imposta mediante l’annullamento delle operazioni di compensazione come disposto dal P.M., con un provvedimento “illegittimo se non abnorme, in quanto volto, in realtà, a riparare di fatto un asserito danno erariale”;
  4. violazione dell’art. 121, commi 6-bis e 6-quater, del Decreto Rilancio, in quanto il Tribunale del riesame ha erroneamente ritenuto irrilevante la buona fede del ricorrente nell’acquisto del credito di imposta, in spregio alle disposizioni citate che hanno introdotto uno schermo operativo in favore del terzo cessionario in buona fede che porti in compensazione i crediti acquistati;
  5. l’importo sottoposto a sequestro preventivo sarebbe superiore al credito acquistato dal ricorrente.

Sequestro preventivo superbonus: come funziona

Preliminarmente i giudici di Cassazione hanno richiamato un principio ormai consolidato a mente del quale in tema di sequestro preventivo impeditivo relativo al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, sono suscettibili di apprensione i crediti dei terzi cessionari di cui all’art. 121, comma 1, lett. b), del Decreto Rilancio, posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi.

Il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen..

La circolazione del credito di imposta derivante da un’attività illecita a monte, può creare un pericolo di protrazione e/o aggravamento delle conseguenze del reato, proprio in ragione del fatto che il terzo cessionario può utilizzare il credito acquistato per cederlo a sua volta o per portarlo in compensazione, come avvenuto nel caso di specie. Né rileva la buona fede del cessionario stesso, in quanto non si è in presenza di un acquisto del diritto alla detrazione a titolo originario, impermeabile ad ogni vicenda illecita precedente.

La Cassazione ha confermato che tali crediti di imposta, una volta emersa la loro provenienza illecita, diventino inutilizzabili dal terzo cessionario, anche in buona, fede, al quale, pertanto, non resta che rivalersi nei confronti del cedente.

Cosa succede ai crediti già compensati dal cessionario?

Nel caso di specie, però, il credito era già stato compensato prima del decreto di sequestro e prima del provvedimento del pubblico ministero che ne dava esecuzione, in cui si disponeva l’annullamento delle operazioni di compensazione dei crediti di imposta effettuate dalla ditta che aveva ricevuto l’appalto e dai cessionari della stessa, delegando per l’incombente la Guardia di Finanza.

Da qui discenderebbero le eccezioni 1 e 3 del ricorso, in quanto secondo il ricorrente, il P.M. che ha dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo disponendo l’annullamento delle operazioni di compensazione, avrebbe emesso un provvedimento illegittimo se non abnorme, con effetti retroattivi rispetto alla procedura amministrativa di compensazione già conclusa.

Purtroppo per il ricorrente, però, il provvedimento da impugnare non era, quindi, l’originario decreto di sequestro preventivo o la successiva ordinanza confermativa del Tribunale del riesame, quanto piuttosto il provvedimento del P.M. che dava esecuzione al decreto del G.I.P., disponendo a tal fine l’annullamento delle operazioni di compensazione dei crediti di imposta già compiute dalla società ricorrente.

La decisione del P.M., infatti, non è rinvenibile nel decreto di sequestro preventivo, che si limitava legittimamente a disporre “Il sequestro diretto a fini impeditivi, dei crediti d’imposta costituenti il profitto del reato, come in motivazione specificato (…) per l’ammontare complessivo di euro 39.126.000,00, sia in relazione ai crediti già ceduti a terzi sia in relazione ai crediti che risultino ancora nella disponibilità delle predette società e che siano riferibili ai lavori eseguiti (…)”.

A fronte dell’avvenuta compensazione del credito di imposta, il pubblico ministero ben avrebbe potuto astenersi dal procedere oltre con l’annullamento retroattivo, dato che nel decreto di sequestro del G.I.P. non vi è traccia del fatto che il credito della ricorrente fosse già stato portato in compensazione.

Tuttavia, il provvedimento del pubblico ministero di esecuzione del decreto di sequestro preventivo non è ricorribile per cassazione e la società ricorrente, per far valere le sue ragioni, avrebbe dovuto impugnare il già citato provvedimento del pubblico ministero.

Alla luce delle suddette considerazioni, il ricorso è stato dichiarato inammissibile ma sarà molto interessante comprendere come si evolverà la vicenda.

 

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